Batte forte il cuore di CNA Bologna in favore degli alluvionati [...]
Il 22 marzo è stato pubblicato il tanto atteso Decreto Legge n. 41 (noto come Decreto Sostegni) contenente le nuove misure di contrasto alla crisi pandemica e di sostegno alle imprese. Tanto atteso perché si trattava del primo provvedimento normativo adottato dal nuovo Esecutivo a guida Draghi. Tanto atteso perché si trattava del Decreto arrivato a distanza di un anno esatto dall’inizio della pandemia e dall’entrata in vigore del famoso “Cura Italia”, padre di tutti i decreti che si sono susseguiti in questo tribolato anno. Tanto atteso perché, effettivamente, attorno ad esso si nutrivano molte aspettative, per alcuni aspetti di auspicata discontinuità, rispetto alle disposizioni precedenti.
Tra essi si colloca, sicuramente, il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (GMO). Come noto, con la Legge di Bilancio, il precedente Governo aveva ulteriormente prorogato la moratoria sui licenziamenti sino a tutto il 31 marzo.
Coloro che auspicavano una virata, immaginando una soluzione nuova, dovranno attendere ancora qualche mese con buona pace di tutti. Infatti, rispetto ai grandi temi del lavoro (ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti), il D.L. Sostegni si è semplicemente limitato a proseguire nel solco di quanto fatto dai predecessori, mantenendo la strada già aperta nei mesi scorsi dai tanti vituperati provvedimenti. L’unica differenza che si registra è il clima politico, che ne fa da cornice, oggi decisamente molto più assopito rispetto ad una sostanza immutata.
Ad arricchire gli approfondimenti su questo tema, vi sono poi le recenti sentenze di alcuni Tribunali chiamati a pronunciarsi sulla legittimità di licenziamenti intimati in costanza di moratoria.
Senza entrare nel merito della paventata incostituzionalità o meno di questa norma imperativa, non rientrando tale giudizio nelle competenze di chi scrive, appare molto evidente la ratio di tutto l’impianto normativo teso a contendere le emorragie sociali, professionali ed economiche, che potrebbero/sarebbero derivare/te da scelte condizionate, principalmente, da fattori quali emotività e stato di incertezza. Tale analisi è tanto più vera se si considera la stretta correlazione che il legislatore ha mantenuto tra questo divieto e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali trasferendo, in tal modo, il costo di tale moratoria in capo allo Stato. In buona sostanza, il legislatore ha imposto ai datori di lavoro di non operare licenziamenti per motivi economici mettendo a disposizione, quale contro partita, un ammortizzatore sociale “gratuito” che opera in deroga a diversi principi generali che, dal settembre 2015, disciplinano gli strumenti di integrazione salariale.
Il divieto di licenziamento presupposto e modalità di accesso agli ammortizzatori sociali e viceversa
Tale correlazione è confermata dalla collocazione di tale divieto all’interno di commi 9-10 e 11 dell’articolo 8 intitolato – Nuove disposizioni in materia di trattamenti di integrazione salariale –. Questo aspetto conferma inequivocabilmente come, nella volontà del legislatore, il divieto di licenziamento sia un presupposto e modalità di accesso agli ammortizzatori sociali e viceversa. Altresì, ad abundantiam, nel D.L. Sostegni la struttura della moratoria sui licenziamenti prevede una differenziazione di scadenza in base alla sfera di applicazione dell’ammortizzatore sociale creando, nei fatti, un doppio binario.
Nello specifico, ai datori di lavoro che rientrano nell’ambito di applicazione del Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria con causale Covid19, che il D.L. Sostegni ha rifinanziato per altre 13 settimane a decorrere dal 01 aprile a tutto il 30 giugno 2021, il divieto di licenziamento per GMO viene esteso sino a tale scadenza.
Diversamente, ai datori di lavoro che rientrano nell’ambito di applicazione degli altri ammortizzatori sociali con assegno ordinario con causale Covid19 quali: FIS, FSBA, Formatemp e Cisoa, che il D.L. Sostegni ha rifinanziato per altre 28 settimane da fruire a decorrere dal 01 aprile al 31 dicembre 2021, il divieto di licenziamento per GMO viene esteso sino al 31 ottobre 2021.
DATORI DI LAVORO Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria |
+ 13 SETTIMANE DI CIGO Dal 01 aprile 2021 Al 30 giugno 2021 |
DIVIETO DI LICENZIAMENTO PER GMO Dal 01 aprile 2021 al 30 giugno 2021 |
DATORI DI LAVORO FIS FSBA TIS Formatemp CISOA |
+ 28 SETTIMANE DI ASSEGNO ORDINARIO Dal 01 aprile 2021 Al 31 dicembre 2021 |
DIVIETO DI LICENZIAMENTO PER GMO Dal 01 aprile 2021 al 31 ottobre 2021 |
Il divieto qui in esame riguarda tutte le ipotesi di licenziamenti per motivi oggettivi, ovvero, riconducibili all’andamento economico-produttivo aziendale, nonché, ad esigenze organizzative e, in generale, non imputabili alla condotta del lavoratore.
Rientrano pertanto in tale divieto:
- le procedure di licenziamenti collettivi ex artt. 4, 5, 3 24 delle Legge 223/1991;
- i licenziamenti individuali e plurimi, indipendentemente dal limite dimensionale dell’azienda, effettuati per giustificato motivo oggettivo e rientranti nell’ambito di applicazione delle Legge 604/1966, come modificata dai successivi provvedimenti normativi meglio conosciuti come Legge Fornero e Jobs Act..
Sono espressamente esclusi dal divieto di licenziamento de quo le ipotesi riconducibili a:
- Licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Si tratta di tutti quei licenziamenti intimati in seguito ad iter disciplinare per grave condotta del lavoratore tale da giustificare il recesso immediato, o con preavviso, da parte del datore di lavoro;
- cessazione definitiva dell’attività con e senza messa in liquidazione dell’azienda. Deve trattarsi di cessazione reale. Sono quindi escluse tutte le ipotesi, più o meno dissimulate, di trasferimento d’azienda.
- licenziamenti intimati in caso di fallimento laddove non sia disposto l’esercizio provvisorio di tutto o parte del compendio aziendale. In tale ultima fattispecie, il divieto di licenziamento si estende ai lavoratori impiegati nell’esercizio provvisorio dell’attività.
Altresì, in via interpretativa, paiono esclusi dal divieto di licenziamento:
- licenziamento per superamento del periodo di comporto in seguito a periodi di assenza del lavoratore dovuti a malattia nei limiti contrattualmente previsti;
- Rapporti di lavoro domestico (colf e badanti);
- Mancato superamento del periodo di prova;
- Scadenza di contratto a termine laddove non prorogato;
- Rapporto di lavoro di Dirigente;
- Termine del periodo di apprendistato;
- Licenziamento per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia qualora vi sia la volontà in tal senso;
- Recessi intimanti in seguito ad accordo collettivo siglato con le OO.SS. comparativamente più rappresentative.
La violazione di tale divieto, che come precisato sopra si configura quale norma imperativa, rende l’atto di recesso nullo e, pertanto, privo di qualsiasi effetto giuridico.
Tale contesto impone, pertanto, molta cautela nel valutare la sussistenza di legittime ragioni di recesso rispetto, anche e soprattutto, alle casistiche ricavate in via interpretativa per le quali sappiamo esservi rischi maggiori derivanti dell’alea del giudizio e dalla lettura della norma data dagli organismi giudicanti.
Reintegro di un dirigente e di una commessa, le ordinanze dei Tribunali di Roma e Mantova
A dimostrazione dell’incertezza che si origina attorno ai principi ricavati in via interpretativa si cita la recente Ordinanza del Tribunale di Roma con la quale, il giudice, ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro di un dirigente licenziato nel mese di luglio 2020. Il datore di lavoro aveva proceduto riferendosi all’interpretazione prevalente che, in caso di mancata espressa previsione, i dirigenti non debbano essere ricompresi in tale divieto. Al contrario, il giudice, superando il mero dato interpretativo della norma, richiamando invece la ratio dell’impianto normativo de quo, ha motivato l’ordinanza, sostenendo come tale norma sia ispirata ad un principio di solidarietà sociale tesa ad evitare che le conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro con grave conseguenze sui lavoratori e che, tale principio, debba essere esteso anche ai dirigenti la cui esclusione appare irragionevole ed in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Con altro provvedimento, il Tribunale di Mantova, in data 11 novembre 2020, ha disposto la reintegra di una commessa, licenziata nel mese di giugno 2020 in seguito alla chiusura del punto vendita presso la quale era impiegata. Alla chiusura del punto vendita non aveva, tuttavia, fatto seguito la cessazione dell’attività aziendale che rimaneva attiva su altri punti vendita situati in altre province. Nel disporre la reintegra il Tribunale de quo, argomentava in ordine all’imperatività della norma a tutela dell’ordine pubblico, nonché, della possibilità del datore di attivare gli ammortizzatori sociali pur di scongiurare il recesso dal rapporto di lavoro.
Dalla breve disamina qui esposta si comprende bene come la tanto dibattuta questione sul blocco dei licenziamenti, che rappresenta sicuramente una situazione innaturale, non sia di poco conto e come, ad oggi, gli apparati dello Stato la difendano con tutte le forze possibili.
Alessandra Mei Area consulenza e relazioni industriali - a.mei@bo.cna.it