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MESOLA (Fe) – Fino a metà degli anni ‘60 una varietà di arachide piccola e dal sapore intenso era una coltura tipica del territorio ferrarese, particolarmente vocato alla produzione.
Poi è stata gradualmente abbandonata, sia per una concorrenza internazionale sempre più agguerrita, che per un forte cambiamento delle abitudini di consumo.
In quel periodo la frutta secca non veniva più mangiata abitualmente, mentre oggi sta vivendo una nuova giovinezza, i consumi sono più che raddoppiati in dieci anni, da quando la comunità scientifica ha decretato che i suoi nutritivi sono capaci di migliorare il benessere dell’individuo. Come conseguenza anche la richiesta di mercato ha cominciato a risalire e produrre arachidi, noci e nocciole è diventato appetibile per gli agricoltori. Proprio per differenziare e cercare una coltura con sbocchi commerciali remunerativi, alcune aziende, 15 per un totale di 18 ettari investiti, hanno accettato la sfida di una Cooperativa del territorio e hanno ridato vita a una filiera delle arachidi ferrarese. Uno di loro è Sergio Vassalli, membro di Agia Ferrara, che ha scelto di destinare un ettaro e mezzo a questa coltura dalle potenzialità davvero interessanti.
“Quest’anno ho scelto di aderire a un progetto di filiera sperimentale nato sul territorio quattro anni fa – spiega Vassalli – visto che ormai è sempre più difficile trovare colture davvero remunerative, a partire dai seminativi fino all’ortofrutta. Oggi la coltivazione di arachide, pur con tutti i limiti che devono ancora essere superati, sta iniziando a diventare qualcosa di concreto e si vedono i primi risultati. Da un punto di vista agronomico non è una coltura semplice da gestire: ha bisogno di molta acqua in fase di trapianto quando deve crescere e germinare, che va dosata con attenzione e di terreni drenanti, perché soffre particolarmente dei ristagni d’acqua. Poi, quando è matura, una macchina per la raccolta la sradica dal terreno, toglie la terra in eccesso e la mette letteralmente ‘a testa in giù’ per la fase di essiccazione. Una volta essiccata c’è un’altra macchina, simile a quella per la raccolta delle patate, che stacca i bacelli e li raccoglie nei bins, pronti per la lavorazione. Attrezzature meccaniche che in Italia non ci sono e che debbono essere importate e adattate ai nostri terreni, ma non sempre la macchina usata in uno dei paesi dove viene abitualmente coltivata, dall’America del Sud a Israele, funziona.
L’anno scorso i produttori della filiera hanno provato a noleggiare una macchina per la raccolta brasiliana che non ha dato, però, performance adeguate. Attualmente stiamo adattando macchinari per la semina del mais o, appunto per la raccolta delle patate, andando a recuperare persino attrezzi degli anni ‘60-’70, ormai inutilizzati. Un altro gap per arrivare a una filiera al 100% Made in Italy è la scelta della giusta varietà che deve essere italiana, Ogm free e deve richiamare, a livello di sapore e consistenza, l’arachide prodotta dai nostri nonni, ma con una pezzatura, quella prodotta molti anni fa era molto piccola, adeguata alle nuove richieste dei consumatori.
Inoltre, serve una varietà che garantisca il prodotto pronto a fine agosto, perché, una volta raccolta, l’arachide va lasciata fuori dal terreno per l’essicazione, che richiede ovviamente un clima secco.
Andando a raccogliere dalla terza settimana di settembre, come è accaduto quest’anno, c’è il forte rischio di avere già un clima più autunnale. In questa fase sono in via di definizione anche gli sbocchi commerciali, perché l’interesse non manca, ma servono accordi e contratti definiti, anche per pensare di aumentare gli ettari investiti.
Per me, e immagino anche per gli altri produttori che hanno accettato questa sfida, la coltivazione dell’arachide è un percorso in divenire, che mette in gioco anche la nostra capacità di trovare soluzioni innovative e forse potrà dare maggiori soddisfazioni rispetto a colture che ormai hanno un mercato perennemente al ribasso”.