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È un periodo cruciale per il sistema agroalimentare italiano. Si sta, infatti, definendo una nuova strategia di rilancio post-Covid 19, nell’ambito della traiettoria stabilita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza del Governo italiano, che distribuirà le ingenti risorse messe a disposizione dall’Unione Europea con il Recovery Plan.Nel modello di sviluppo proposto dal Piano un ruolo cardine viene riservato all’ecosostenibilità, in linea con gli indirizzi dal Green Deal. Per l’agrifood questi indirizzi sono stati specificamente declinati e presentati lo scorso maggio nelle comunicazioni della Commissione “Farm to fork” e “Biodiversity”.
Sicurezza dell’approvvigionamento alimentare e salvaguardia del reddito agli agricoltori restano elementi cardine per il sistema produttivo agricolo europeo, che tuttavia dovrà compiere una robusto passo in avanti per diventare uno standard di riferimento su scala globale in materia di sostenibilità. L’accento viene posto sull’adozione di pratiche di produzione sostenibili, che eliminino l’inquinamento, grazie a definiti obiettivi di riduzione dell’uso di input chimici e di maggiore diffusione della produzione biologica nel corso del prossimo decennio. Un ruolo rilevante a sostegno di questa transizione verde è affidato all’adozione delle innovazioni, prime fra tutte la digitalizzazione e il precision farming.
L’ortofrutta italiana è pronta a raccogliere questa nuova sfida? Alcune interessanti indicazioni sono fornite da un’indagine diretta, realizzata nell’ambito dell’iniziativa AgriCommunity di Nomisma-Edagricole. La survey ha coinvolto all’inizio del 2020 oltre 1.000 imprese agricole italiane “avanzate” con una Sau media di 63 ettari, delle quali 217 del settore ortofrutticolo.
Il primo e più controverso punto riguarda l’impiego degli input chimici.
L’Unione Europea chiede ai propri agricoltori una contrazione d’uso pari al 50% per gli agrofarmaci e al 20% per i fertilizzanti entro il 2030. Su questo aspetto gli interrogativi sono molti, perché difesa e fertilizzazione costituiscono strumenti cardine della pratica agricola. I dati dell’indagine, infatti, mostrano come il loro uso a supporto della produzione agricola sia ritenuto importante da una rilevante quota di imprese “avanzate”, il 74% per concimi e il 68% per i prodotti fitosanitari. La loro rilevanza è indicata in maniera ancora più marcata dalle imprese ortofrutticole, in cui le percentuali salgono rispettivamente al 79% e 71% (figura1).
La produzione ortofrutticola si confronta, infatti, negli ultimi anni con ricorrenti emergenze fitosanitarie, cimice asiatica, maculatura bruna del pero e moria del kiwi, solo per ricordarne alcune fra le più recenti, che hanno compromesso le produttività delle colture e che richiedono adeguate soluzioni in termini di difesa, apporto di nutrienti e materiali di propagazione certificati e resistenti. In assenza di adeguati strumenti, le imprese ortofrutticole incontrerebbero forti difficoltà nel garantire elevati standard produttivi, sia in termini di qualità che di resa.
D’altro canto, esse sembrano già significativamente avviate verso un percorso di adozione di sistemi produttivi “green”. Nel 28% delle imprese specializzate nei prodotti ortofrutticoli è presente il sistema di produzione biologica, contro il 23% della media del totale delle imprese avanzate. Tuttavia, l’estensione in termini di superficie è pari al 13% della superficie totale ortofrutticola, più contenuta rispetto al 18% del totale delle imprese agricole “avanzate” facenti riferimento a tutti gli orientamenti produttivi (figura 2).
L’ortofrutta, infatti, ha da tempo adottato su ampia scala la produzione integrata: il relativo tasso di adozione è molto ampio e pari al 36% per le imprese di questo settore, contro il 24% del totale delle imprese agricole “avanzate”. La quota di superficie interessata dal sistema di produzione integrata è pari al 41% rispetto alla media del 18%. Questo sistema, pur non essendo stato adeguatamente valorizzato nei suoi punti di forza e non adeguatamente riconosciuto dal consumatore, risponde tuttavia anch’esso a standard di produzione ecocompatibile superiori rispetto alle produzioni convenzionali.
Se si considerano entrambi i sistemi produttivi emerge come già nel 54% della superficie delle imprese ortofrutticole avanzate l’attenzione alla sostenibilità ambientale delle produzioni sia rilevante.
Infine, le comunicazioni del Green Deal sottolineano come questa transizione verde possa essere sostenuta dall’innovazione della smart agriculture. Essa richiede adeguate dotazioni in termini di macchine e tecnologie innovative, ma su questo punto l’agricoltura italiana sconta, purtroppo, un cronico ritardo. Il parco macchine dell’agricoltura italiana sconta, infatti, un elevato grado di vetustà tanto che, nello stesso campione di imprese agricole “avanzate”, il 67% dispone di macchine con età media superiore ai dieci anni (figura 3).
Poiché in queste imprese è ragionevole supporre una scarsa capacità di adozione di tecnologie innovative, è quindi solo per un quarto delle stesse imprese “avanzate”, che dispone di un parco macchine di età inferiore ai dieci anni, che potranno essere protagoniste di un rapido ingresso della digitalizzazione e del precision farming. Nel caso dell’ortofrutta la quota di queste imprese sale al 28% a dimostrazione di una maggiore attenzione e capacità di investimento nella dotazione in macchine e tecnologie.
E infatti il grado di adozione di alcune applicazioni della smart agriculture, centraline meteo, sistemi di applicazione a dosaggio variabile, sensori della pianta e del suolo ed i più generici software di gestione aziendale, risulta più elevato nel caso dell’ortofrutta rispetto al totale delle imprese agricole “avanzate”, fanno eccezione le macchine con guida assistita, semiautomatica e/o Gps integrato che sono impiegate soprattutto nei seminativi. Sebbene ancora si tratti di una presenza su scala ridotta nelle campagne italiane, per il futuro è attesa una progressiva crescita che, si può ipotizzare, sarà più sostenuta nel settore ortofrutticolo che si mostra caratterizzato da una maggiore permeabilità a queste tecnologie rispetto ad altri settori agricoli.
Gli elementi considerati evidenziano quindi come, nel panorama agricolo italiano, l’ortofrutta italiana possa guardare agli ambizioni obiettivi del Green Deal da una posizione privilegiata. Tuttavia, il percorso per divenire un settore “sostenibile”, così come nelle intenzioni dell’Unione Europea, è ancora lungo, complesso e, soprattutto, possibile solo a fronte di adeguati investimenti, che richiedono una solida redditività di impresa. Il grave stato di crisi che sta attraversando l’economia per effetto della pandemia del Covid-19 non pone quindi le condizioni ideali per questa transizione. Tuttavia è forte la consapevolezza che questa crisi, favorendo i processi innovativi e catalizzando risorse a sostegno del rilancio economico, possa fungere da acceleratore di trend di cambiamento già avviati pre-crisi e ci riconsegni nei prossimi anni uno scenario radicalmente mutato, anche in agricoltura.