Un patrimonio gastronomico da tramandare

Un patrimonio gastronomico da tramandare

DA “L’IMPRESA FA NOTIZIA”
SPECIALE AGROALIMENTARE
Il Resto del Carlino – 18 APRILE 2019

 

Intervista a MAX POGGI – chef bolognese, ma dalla fama che varca decisamente i confini petroniani con il ristorante di Trebbo di Reno ‘Massimiliano Poggi Cucina’ – è anche Presidente Unione Agroalimentare Cna Bologna.

Poggi, come va il comparto nella nostra città dal suo punto di osservazione?

«Bologna è una meta turistica importante e si sta ritagliando uno spazio a livello italiano ed europeo. Sono diversi anni che l’approccio turistico è cambiato, da quello solo business, a quello anche culturale. Proprio questo aspetto della cultura si associa al nostro comparto agroalimentare ed è quello che al momento fa da traino. Sta andando molto bene».

Quali sono i motivi?

«La crescita dell’aeroporto Marconi, ma anche il lavoro delle associazioni di valorizzazione del patrimonio culturale: prima ne godevamo solo noi bolognesi, mentre ora è più conosciuto e fruito. Ormai i turisti stanno 4/5 giorni in città e girano per musei e chiese».

Cosa cercano questi turisti sulle tavole cittadine?

«Intanto non sono d’accordo sul fatto che la ‘città dei taglieri’ abbia per forza un’accezione negativa: si possono proporre taglieri anche di estrema qualità. Ma il nostro lavoro non va inteso dal solo punto di vista commerciale. Noi operatori abbiamo una missione: quella di tramandare il nostro patrimonio gastronomico, non solo di sfruttarlo. Non è fondamentale fare la sferificazione di una lasagna, si può fare anche una tagliatella, ma con dignità».

Quanto conta il legame con le eccellenze del territorio?

«Molto. Raccomando a tutti gli operatori del settore di chiedersi perché la cucina bolognese è internazionale: perché ha dei valori suoi, dati dai sapori e dall’amore che le cuoche e i cuochi hanno sempre messo per realizzare il pranzo della domenica. Noi dobbiamo avere la responsabilità di dare il cuore al servizio di questo patrimonio di ingredienti riconosciuto nel mondo».

Il suo ristorante a Trebbo è a un passo dalla campagna. Che legame c’è fra uno chef e il mondo agricolo che lo circonda?

«Sono un cuoco che si è sempre dato delle filosofie, ma vivere la campagna tutti i giorni apre un mondo e si regola l’orologio lavorativo in base a quello che si trova intorno. Le stagioni sono sempre diverse: quest’anno i fiori e frutti arriveranno molto prima rispetto ad altri anni. Questa è una grande fonte di ispirazione. Per fare un esempio: io non ho mai cucinato con i fiori, ma da due settimane faccio un piatto con i fiori di cavolfiore. Li ho visti nell’orto, li ho assaggiati e trovato buonissimi. Ecco, i fiori entrano o meno nel piatto se hanno un senso».

Quanto è importante l’aspetto dell’artigianalità per un cuoco e il rapporto con i prodotti del territorio?

«Noi facciamo un piatto provocatorio – il piccione servito con la zampa intera –, ma il 99% di operatori commerciali propone sempre i soliti tagli, i più facili. Anche i macellai sono in difficoltà perché devono comprare venti lombate a settimana e una coscia ogni quindici giorni. Il messaggio che deve passare è che c’è tanta carne che non siamo più abituati a consumare, e serve una presa di coscienza se vogliamo darci una filosofia contro lo spreco e gli abusi alimentari».